Orizzonti 10

Avevo 49 anni quando decisi di fare il salto . Da 17 anni lavoravo nella Rianimazione del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Pisa .
Avevo tutto. Stima , affetto , un primario meraviglioso che mi lasciava andare ogni volta verso il mio lavoro umanitario .
Il lavoro era così interessante e la vita così spianata e semplice.
Ma sentivo che mancava qualcosa. Era tutto troppo scritto. Ogni gesto già compiuto, ogni passo già segnato.
Quel corridoio, che nel sotterraneo portava all’ascensore per la Rianimazione mi sembrava, grottesco dirlo adesso, un carcere.
Presi una lunga rincorsa dentro di me. E saltai. Mi licenziai.
Fu una decisione così difficile e sofferta. Lasciavo la sola certezza della mia vita. Per navigare verso l’ignoto.
Scelsi di tagliare ogni legame, di vivere per essere libera.
Non riuscivo ad abbandonarmi a quella vita certa. Eppure era così comoda.
Mi accorsi, dopo poco, che chiudendo una porta se ne aprivano decine. L’ignoto non era altro che una costellazione di possibilità.
Iniziai a vivere la mia vita. Dove tutto era possibile. Dove la libertà di scegliere era il solo filo da seguire.
Vissi per un anno in Africa, cambiando stato ogni tre o quattro mesi. Ogni missione era una scoperta. Di persone, di luoghi, di odori , dei miei limiti.
Mi trovai a vivere in una tenda nel bosco del Sud Sudan. In un luogo sperduto della terra che raggiungevamo con un’ora di elicottero.
Il caldo sembrava cuocere la carne e i pensieri.
Senza luce né acqua corrente. Il cibo liofilizzato che aveva sempre, settimane dopo settimane, lo stesso sapore.
Il fango che ci ingoiava dopo le notti di pioggia scrosciante.
Cucinavamo sul fuoco di legna e ci lavavamo con taniche di acqua appese ad un tronco.
Scalzi nella tenda adibita a sala operatoria cercavamo di ripararci dal caldo.
Una vita che a noi sembrava estrema, ma che per alcuni in quel bosco lontano dal mondo era già un lusso.
Imparai a capire quanto in là potevo spingere la sopportazione.
E quando tutto sembrava troppo, arrivava un sorriso di un paziente ad illuminare la vita. O la quiete innaturale del tramonto , come se il sole ci concedesse una tregua.
Se la felicità esiste, per me era quella . Quel non avere confini né frontiere. Quel potersi immaginare ovunque, senza vincoli.
Imparare da ogni diversità. Conoscere sorrisi e dolori del mondo.
Poi arrivò l’opportunità di andare a vivere a Cayenne, nella Guyana Francese.
Un’altra sfida . Reinventarsi una vita. Un’altra scoperta.
Ogni posto era una vita nuova, una tavolozza bianca su cui spalmare un nuovo colore.
Finalmente stavo vivendo la vita che sognavo. Nomade e libera da tutto .
Una telefonata spezzò il sogno. Mio fratello era gravemente malato. Lo avevo rifiutato già due volte. Dentro di me ero convinta che avrebbe sconfitto il cancro senza di me.
Ma quella volta capii che la sua vita stava finendo. E il mio cuore si piegò. Inciampò e cadde.
E così lo rincontrai in una stanza di ospedale dopo 15 anni. Lui stava facendo la chemioterapia. Io non riuscivo a credere che tutto stesse accadendo. Che la morte stava per bussare alla nostra porta.
Io e lui. Così infinitamente diversi. Ora di fronte ad una scelta. Fare l’ultimo tratto della sua strada insieme o lasciarci per sempre.
Gli presi la mano e decisi che sarei andata con lui, camminando a fatica lungo la sua sofferenza.
Non potevo sapere che quell’accoglierlo mi avrebbe portato qui. A perdere tutto quello per cui avevo vissuto. Tutto quello che avevo costruito in cinquanta anni di vita.
Tenere la mano di mio fratello mentre moriva è stata la cosa più straziante che abbia mai vissuto. Il prezzo che sto pagando è altissimo.
Vivo da quattro anni in una gabbia. Pago io il conto della sua vita. Delle persone di cui si è contornato. Del vuoto che aveva creato intorno a sé .
Marco era mio fratello. Questo non lo rende né migliore né peggiore della persona che è veramente stata.
E’ il solo motivo per cui gli sono stata accanto con tutto l’amore che potevo mentre lui stava morendo.
A differenza di molti , non ho fatto conti né progetti mentre lui si preparava a lasciare questa vita.
Non so cosa la vita vuole insegnarmi mettendomi di fronte a questa prova. Forse un giorno ne capirò il senso.
Mi chiedo cosa sarebbe stato di me se l’avessi lasciato andare senza tornare da lui. Se il rimorso mi avrebbe divorato, inconsapevole di quello che avrei evitato.
L’ingiustizia in cui vivo è insopportabile e impossibile da accettare.
Ma non mi cambierei mai con le persone che seppur libere, mentono sapendo di mentire. Che devono per forza non avere una coscienza, perché se l’avessero il peso da sopportare per loro sarebbe ben più grande del mio adesso.
Non provo rabbia verso di loro , ma una grande pena. La loro è una vita buttata.
Io ho vissuto una vita piena. E per questo, comunque, mi sento una persona fortunata.
Io ho tenuto la mano di Marco per amore. E niente altro.
Credo che in pochi possano dire lo stesso.
E che la vita li perdoni.

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