Malakal , Sud Sudan .
La guerra civile stava incalzando questa cittadina fatta di sabbia e fango. La stringeva dai lati tagliandola come la chiudesse in una forbice.
Questo luogo dimenticato, malgrado l’attacco potesse arrivare da un momento all’altro, sembrava non curarsene.
Tutti noi la aspettavamo, come si aspetta un temporale. Senza fretta, con la certezza del suo arrivo, senza poter far nulla per poterlo evitare.
Abitavamo a qualche chilometro dall’Ospedale. Ci sembrava una distanza lunghissima , perché buche enormi nelle strade di terra battuta impedivano alle macchine di andare veloci .
Era una finta calma la nostra, ma ci regalava la nostra piccola routine quotidiana.
Aspettavamo.
Una donna friggeva buffe palline di farina e acqua davanti al nostro ufficio in una padella nera , sporca ed unta sulla brace che ardeva tutta la mattina.
Lei seduta per terra, le sue mani facevano rotolare queste frittelle in uno zucchero vecchio.
Era la nostra colazione, il nostro momento di pausa .
Seduti nel cortile assolato, mangiavamo palline fritte sulla carta del giornale.
Non serviva più chiedere quanto le dovevamo, era tutto così normale . Piccole abitudini in attesa della tempesta .
Aspettavamo, senza dire nulla.
Neanche tra di noi parlavamo della guerra che stava per strangolarci . Non parlarne rassicurava quelle giornate di lavoro e attesa.
Ne eravamo consapevoli. Questo era tutto.
Non ci volle molto perché le prime avvisaglie si facessero sentire.
Dalle finestre del nostro ufficio all’improvviso un rumore di folla ruppe la monotonia dell’ora di pranzo.
Ci affacciammo . La strada affollata di gente in una corsa scomposta e convulsa.
Qualsiasi meta cercassero di raggiungere , era lontana , molto vicina alla salvezza.
Dopo poco , gli spari, distanti e ottusi . Rumori di granate e mitragliatrici .
Stavano arrivando . L’attesa era finita .
Ottenemmo il permesso di andare in Ospedale , non appena calò il silenzio.
La donna delle frittelle zuccherate non era più lì , seduta a far girare le sue mani veloci nello zucchero .
L’Ospedale era tranquillo, silenzioso . Come lo era diventato il cielo.
La guerra stava arrivando, ma aveva rallentato il suo passo.
Passammo a controllare i pazienti che avevamo operato. Quei fortunati che con lunghe giornate di cammino ci avevano raggiunto.
Sapevamo che da lì a poco non avremmo più potuto raggiungere l’Ospedale.
Cercammo di dimettere chi poteva andare via , di fare spazio alla tragedia che doveva arrivare.
E quella notte , la guerra arrivò.
Con tutto il suo fragore. Granate, bombe , scariche di mitragliatrici.
Via radio il capo della missione ci disse di non uscire di casa. Ovunque fossimo saremmo dovuti restare lì .
Ogni casa aveva una stanza senza finestre. Quella era la “ safe room” dove le pallottole più difficilmente potevano penetrare .
Dovevamo stare tutti in quella stanza, quando le raffiche arrivavano.
Il cancello d’ ingresso della casa . Quello era il punto debole. Lo potevano sfondare.
In due andammo a posteggiare il nostro enorme Land Rover contro il cancello. Le pallottole erano vicine, raffiche continue, interrotte da boati
Lontano si vedevano fuochi. La città stava bruciando. Anche il saccheggio aveva avuto inizio.
Non avevamo idea di quanto tempo saremmo dovuti restare chiusi in quella casa. Dovevamo aspettare il consenso dei capi della guerriglia per andare in Ospedale , dove i feriti si stavano accumulando ogni ora che passava.
Dovevano “assicurarci “ che non ci avrebbero sparato se fossimo passati per la strada.
Razionammo l’acqua e il cibo. Non ne avevamo per molti giorni. Cinque litri di acqua a testa per lavarci e bere .
Due tazze di riso al giorno
Questo era quello che potevamo permetterci.
Era il giorno di Natale.
Passarono tre giorni, o forse quattro. Scanditi dagli stessi rumori di morte
Poi la radio squillò.
Potevamo uscire. Dicevano che non ci avrebbero sparato.
Potevamo raggiungere l’Ospedale.
Prendemmo le nostre cose , forse non saremmo potuti rientrare a casa. Le cose indispensabili.
Il rumori degli spari era forte mentre caricavamo il Land Rover . Vicino e netto.
Salimmo sulla macchina e aprimmo il cancello sull’ignoto. Eravamo un convoglio di quattro macchine della Croce Rossa e di MsF
Militari ovunque, ubriachi e urlanti camminavano ondeggiando. I negozi aperti come uscissero dalle viscere della terra, vomitavano fuori la loro merce.
Il resto lo aveva fatto il fuoco . Niente era più riconoscibile
Qualcuno sparò in aria al nostro passaggio, ridendo. Lui sapeva chi era il più forte in questa guerra.
La nostra carovana di macchine passò piano, facendosi largo tra la distruzione e la follia.
Arrivammo in Ospedale. Era un’enorme distesa di feriti, sdraiati in un campo assolato, la terra aveva un odore dolciastro.
In quel preciso momento, nell’assenza della donna delle frittelle, iniziò la nostra guerra.
Quella per la vita.
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