Marzia Corini è un medico anestesista e rianimatore. Venti anni fa ha scelto di svolgere la sua professione nei luoghi più sperduti e poveri del mondo. Ha curato e salvato tante persone. Soprattutto bambini. Lo ha fatto dormendo in tende e abitazioni di fortuna. Sotto le bombe, col rumore di sottofondo delle mitragliartici.
Regioni del mondo in cui non conta nulla il denaro. In cui avere 5 Euro o 500.000 Euro non fa nessuna differenza. Marzia tornerà lì e lo farà perché ama il suo lavoro e ama quel tipo di vita. Non rinuncerebbe per nulla al mondo alle esperienze di amore, di impegno e di solidarietà totalmente messa al servizio dei più poveri. Dei più dimenticati. Dei martoriati dalla guerra e dalla violenza. La sua vita è stata quella e quella tornerà ad essere.
Ci conosciamo da un primo giorno di scuola del 1975, prima media, Istituto Gesù-Maria a Roma. È passato qualche anno. Siamo amici da 43 anni.
Marzia è accusata di aver ucciso suo fratello, Marco Valerio Corini, malato terminale di cancro ai suoi ultimi giorni di vita, con una fantomatica iniezione di sedativo, somministrato in dose eccessiva per anticipare il decesso. Il movente sarebbe legato a un’eredità. Impossibile comprendere come una persona che ha impostato la sua esistenza nel totale distacco dall’interesse personale arrivi a compiere un gesto così estremo, fatale e irreparabile.
Marco Corini viene presentato dai giornalisti del luogo come” l’avvocato dei VIP” e in effetti era così. Amano inserire questa definizione nella maggior parte dei loro articoli. Fa più notizia, attrae maggiormente l’attenzione dei lettori. E finalmente, in una provincia tranquilla, abitata da persone cordiali e caratterizzata da paesaggi meravigliosi, possono diventare protagonisti di qualcosa di eclatante, mettere la loro firma sul racconto di una vicenda inconsueta e sensazionale.
Ma per mantenerla sensazionale e continuare a mettere la loro firma in contesti che fanno audience hanno bisogno del mostro. Per poter appartenere anch’essi a quel mondo dei VIP che li affascina tanto, devono posizionare mine, accendere micce e produrre esplosioni. Dilaniare la vita di una persona che per tutta la vita è stata solo bontà, dedizione, altruismo.
Ho partecipato alle ultime udienze, quelle in cui si sta finalmente entrando nella fase decisiva del processo e che porranno fine al calvario di Marzia.
Ieri, 19 ottobre, sono comparsi in aula due testimoni chiesti dal PM. Un broker della Banca Cesare Ponti in cui Marco Corini teneva parte del suo patrimonio, e il palliativista, il medico che nelle ultime settimane ha seguito Corini nelle cure per la terapia del dolore.
Gli articoli apparsi oggi su “La Nazione” e sul “Secolo XIX”, a firma rispettivamente di Corrado Ricci e Tiziano Ivani, rappresentano perfettamente due esempi di manipolazione distorsiva utilizzata per stimolare la morbosità dei lettori e cercare di tenere viva l’immagine del “colpevole per forza”.
Già i titoli degli articoli (nelle immagini) presentano due virgolettati riferiti a frasi mai pronunciate dal palliativista. I titoli, si sa, sono l’etichetta del prodotto e non sempre sono frutto della fantasia di chi scrive l’articolo, ma la citazione mistificata è di per sé l’inizio di una truffa ai danni di chi compra un giornale. E voglio tralasciare, in questa parte, la violenza che stanno facendo ai danni di Marzia perché le dimensioni della disumana brutalità che sta subendo da tre anni vanno ben aldilà di un titolo da quotidiano.
Ero presente, ho ascoltato il palliativista con attenzione e la sua testimonianza ha seguito in modo molto limpido una linea corretta, fatta di riferimenti scientifici, medici e documentali che non hanno rivelato nessuna omissione, né negligenze, tanto meno anomalie né oscure ambiguità. Ha raccontato in modo nitido e inequivocabile di quattro telefonate più un SMS ricevute da Marzia nel giorno del decesso del fratello. Quattro telefonate, la prima della quali alle 7,30 del mattino, dovute al peggioramento notturno delle condizioni, di crisi respiratorie più gravi e di sofferenze insopportabili. Telefonate di confronto tra medici esperti per concordare insieme terapie e trattamenti adeguati alle complicazioni sopraggiunte. Marzia non era sola e le condizioni del fratello erano evidenti a tutti coloro che erano con lei ed era un quadro coerente con quanto aveva riscontrato lo stesso palliativista qualche giorno prima, quando la grave malattia che stava uccidendo Marco Corini si era ulteriormente acutizzata. Questo ha detto il palliativista, senza possibilità di malinteso. Del resto, le sue parole saranno fedelmente evidenti negli atti del processo.
L’infamia, perché di questo si tratta, viene confezionata in modo strumentale per essere protagonista e per sentirsi VIP in quanto narratore di una storia che non riguarda la verità ma che deve attrarre pubblico. Perché è il male che attrae. Perché è la cattiva notizia che fa audience. Perché è la manifestazione del torbido che sa sedurre assai più del codice etico che un giornalista dovrebbe deontologicamente rispettare quando scrive un articolo.
Il pornogiornalismo, sempre più in voga negli ultimi decenni, segue il flusso catechizzato dal Web: youporn è il sito più visitato? E allora seguiamo quel modello. Così il giornalista onanista che può scrivere la qualsiasi, manipola, distorce e disinforma invece di riportare ciò che veramente avviene e viene detto.
La prima regola del giornalismo è la fedeltà sui fatti e sulle parole. Le inesattezze scritte su questi due articoli sono atrocemente perverse e falsificanti.
Ambedue i giornalisti tirano fuori la questione fiducia che non è mai comparsa nella deposizione del Dott. Bergnocchi.
Tiziano Ivani de Il Secolo XIX scrive tra l’altro che il palliativista Dott. Bregnocchi: “…in un certo senso si fidò di Marzia, sorella del legale. La lasciò fare in buona fede. «Mi chiamò di mattina al telefono, mi disse che era necessario cominciare la sedazione e di andare quando potevo»…”. Il Dott. Bergnocchi ha invece descritto un rapporto costante con Marzia che era molto più chiaramente uno scambio di informazioni e aggiornamenti tra due medici, entrambi con una notevole esperienza. La fiducia, il “fidarsi”, non c’entrano proprio nulla e le telefonate sono state 4 più un sms. Potremmo definirli semmai consulti tempestivi e ben approfonditi.
E ancora: “…fu utilizzata una confezione di Midazolam…”. In realtà fu utilizzata una fiala di Midazolam.
Addirittura a un certo punto viene citato Giuseppe Rampini, un pregiudicato per appropriazione indebita in fatti che risalgono a pochi anni fa e accusatore chiave di Marzia Corini in questo processo, come beneficiario di una fetta di testamento. Bisogna invece ricordare a questo proposito, che è stato proprio il Rampini, in occasione dell’udienza precedente a questa, ad aver escluso questa possibilità nel corso della sua deposizione.
Da quello quindi che emerge nei due articoli le 5 ore di udienza si sono ridotte alla descrizione di un rapporto fiduciario che hanno rilevato però solo Ricci e Ivani e a una serie di citazioni (“gli investigatori sono convinti…”, ma convinti di cosa? Quali investigatori?) frutto di una ricostruzione arbitraria e priva di riscontri.
Grave è semmai la quantità di omissioni che i due pezzi presentano. Il broker ha affermato ad esempio che Marzia è stata la sola persona che si è disinteressata ai bonifici che dovevano provenire dalla sua banca. Il Dott. Bregnocchi ha detto che quando è arrivato alle 17,00 presso la casa di Marco Corini ha trovato il paziente normalmente sedato ed è rimasto lì per 40 minuti circa, insieme alla stessa Marzia, all’infermiere e ad altre 3 persone (quella stessa sera, dopo circa due ore, Marco Corini sarebbe venuto a mancare).
E infine a chi legge potrebbe sembrare che Marzia non ha diritto alla difesa, che ieri non ci sia stato stato nessun controesame da parte dei suoi legali e che le uniche figure che animano la scena processuale siano il PM e questi fantasmagorici investigatori. Tranquilli, siamo in uno stato di diritto e c’è stato un controesame approfondito e particolarmente accurato. Solo che per i nostri questo particolare non fa notizia, è insignificante. Non è roba da VIP come loro due.
Provare ad entrare nel circolo dei VIP mettendo la firma su articoli che stravolgono la verità è un’operazione con scarse possibilità di successo. Anche l’onanismo (compreso quello giornalistico) produce un piacere che dura pochi secondi. La strategia depravata di alcuni moderni scribacchini fa male alla professione del giornalismo, che è nobile e terza. In cui non possono esistere colpevolisti o innocentisti ma solo persone che lavorano al servizio della verità e dei lettori.
Chi legge e ha il diritto di essere informato non deve essere infilato a forza nel labirinto dei condizionamenti e delle ossessioni per colpa delle patologie e dei complessi di chi cerca i suoi 15 minuti di celebrità. Per entrare nei circuiti dei VIP contemporanei c’è “La Prova del Cuoco”, “L’Isola dei Famosi”, “La Ruota della Fortuna”, tutta roba diversa dal giornalismo serio e rigoroso, rispettoso verso i lettori, che invece dovrebbero produrre in quello che scrivono.
Stanno devastando la vita di una donna che in tutta la sua esistenza ha scelto solo di fare del bene. Che ha scelto solo la vita. Che sogna di poterla riconquistare e che se n’è sempre fregata dei soldi e delle comodità. Quando sarà finita questa brutta storia, quando questa squallida e malata gogna svanirà nel nulla e con esse cesseranno gli stupri interiori che è costretta a subire, lei tornerà lì, in quei luoghi di sofferenza ma anche di amore per la vita che si regala all’altro.
Stefano Pierpaoli
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